Icaro

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Invidio le rondini che possono tuffarsi nei tramonti,

come se nuotare e volare fosse la stessa cosa,

triplo salto carpiato nel blu,

quello di sopra, quello di sotto,

punti di vista.

Giravolte e capogiri.

Invidio le rondini perché possono rifugiarsi tra le nuvole e poi gettarsi nel vuoto,

a picco.

Usano quei batuffoli come trampolini.

Non temono quello che non sanno, le rondini.

Ieri ero Icaro.

Invidiavo quello scriteriato di Apollo che solcava il cielo col suo carro dorato,

e odiavo quella condizione di inettitudine:

costretto a starmene lì a guardare il sole

e meravigliarmi quando arriva,

e stupirmi quando se ne va.

Ogni giorno, uno spettacolo, due volte al giorno.

Diverse le prospettive, le altitudini,

i contorni, i cespugli,

le ore di attesa.

Sempre uguale a se stessa invece quella condizione di impotenza.

Se potessi lo farei sorgere a mezzogiorno il sole,

così ognuno potrebbe beneficiare dell’alba.

Quella la aspettano tutti e non se la gode mai nessuno.

E lo manderei a letto presto, il sole,

ma almeno tre volte di fila, e all’improvviso,

tipo sedici minuti dopo l’aurora,

il tempo di far abituare gli occhi,

per poi lasciarli esterrefatti.

Lo sconvolgerei questo cavolo di equilibrio, se potessi.

Se hai il sole a disposizione non puoi realmente pensare di non approfittarne un po’.

Invidio le rondini perché il sole lo squarciano.

E lo sentono così vicino da trattarlo con indifferenza.

La cosa che preferisco, in te, non è il sole alle spalle,

è che tu sai rendere tutto dannatamente semplice.

Sei gli occhi bendati che risolvono il cubo di Rubik.

E io sono quella che invidia le rondini e si chiede come facciano a non stupirsi,

del sole,

ogni benedettissima volta.

Ma se mi prendi la mano,

sto zitta.

Me lo godo in silenzio il tramonto.

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